Dove va il tempo quando usi la voce?
Fisica quantistica e pratica vocale per perdere il controllo e guadagnare presenza.
Quando siamo immersi in ciò che amiamo, il tempo si dilata o scompare, vero?
La passione ha il potere di sospendere il tempo cronologico - le freccette dell’orologio perdono la loro importanza, e la mente fa salti liberi tra minuti, mesi oppure anni. Così sono le passioni. Possono rimanere dimenticate sul cassetto per parecchio tempo, ma basta un incontro e il corpo reagisce come se l’ultimo incontro fosse stato ieri.
E così ha fatto il mio cuore quando ho ripreso a leggere dei saggi di fisica. Non troppo complessi, da non perdere l’interesse, ma abbastanza profondi in modo di generare una ‘nuova stranezza’ del mio sguardo verso il mondo.
Così ho deciso di scrivere questo articolo mentre ascoltavo uno di questi libri: L’ordine del tempo di Carlo Rovelli.
Non l’ho letto tutto in una volta. È stato un dialogo che si è prolungato nei mesi e si, questa è una delle ragioni delle mancate cos(piare) dei mesi scorsi. L’altra è che il tempo è stato effettivamente il tema ‘organizzativo’ delle ultime settimane. Tempo e energia erano impegnati in tanti bei lavori, come la chiusura del corso allo Slap, le innumerevoli lezione e consulenze, il lavoro in scena con Penthotal…
Ma mi è anche scivolato via in tempi d’attesa, nei ritardi, nell’ozio incatenato dalle distrazioni.
Eppure, proprio lì, in mezzo al disordine del tempo quotidiano, si presentata la domanda: che tempo ha la voce?
Perché ogni volta che mi siedo con qualcuno per lavorare sulla voce — la mia o quella di chi ho davanti — il tempo cambia forma. Non è più quello degli orologi, è un’altro.
Ed è qui che la fisica e il lavoro vocale si sfiorano. Là dove la voce prende corpo, il tempo si segna non dai numeri, ma dagli eventi.
La differenza fra cose e eventi è che le cose permangono nel tempo. Gli eventi hanno durata limitata. Un prototipo di una «cosa» è un sasso: possiamo chiederci dove sarà domani. Mentre un bacio è un «evento». Non ha senso chiedersi dove sia andato il bacio domani. Il mondo è fatto di reti di baci, non di sassi.
Carlo Rovelli
Ma la voce… ha un tempo?
Si dice spesso che “la voce accade nel presente”.
Giusto. Ma — domanda scomoda — quale presente?
Nel microsecondo in cui l’onda sonora si forma, passando per i muscoli, le ossa e l’aria della bocca di chi parla? Nel tempo di chi ascolta, un attimo dopo, quando il suono ha già viaggiato nell’aria? Oppure ancora prima, nel momento in cui l’intenzione di parlare prende forma nel corpo?
Il suono della voce viaggia a circa 343 metri al secondo nell’aria. Quindi, se parli in un teatro grande o a un’amica un po’ lontana, la tua voce le arriva leggermente dopo.
Pochi millisecondi, certo. Ma abbastanza per complicare la nostra idea di un“qui e ora” univoco.
Come scrive Rovelli, non esiste un “adesso” universale.
Il presente non è un dato oggettivo, ma qualcosa di relativo, locale, situato.
Che cosa significa essere presenti, se il presente non esiste?
La presenza vocale, allora, non è una qualità “statica”, da possedere o da scolpire. È una condizione momentanea, fragile, viva. Una voce presente è una voce che accade.
È il luogo dove il corpo incontra il presente — e lo lascia andare subito dopo.
E mentre parliamo, non fissiamo il tempo: lo attraversiamo.
Parlare con presenza non significa “tenere sotto controllo” ogni suono, ma esserci quando l’evento della voce si manifesta.
Praticare la voce, allora, forse non è un esercizio di controllo, ma di abbandono al divenire.
La gravità rallenta il tempo
La gravità influisce sul tempo: più sei vicino a una massa molto grande — come la Terra — più il tempo rallenta. È un effetto reale, misurato dalla fisica moderna: oggi abbiamo pure degli orologi super precisi che rivelano questa differenza. In montagna il tempo scorre un po’ più veloce. In pianura rallenta. Anche dentro di noi succede qualcosa di simile.
Ai nostri piedi, il tempo è più lento che alla nostra testa.
Scrive Rovelli: “Le cose cadono verso il basso perché lì il tempo è più lento.”
I piedi aderiscono al pavimento perché cercano quel tempo denso, rallentato.
Allora forse essere presenti significa anche questo: riconoscere che viviamo costantemente in tempi diversi. La testa anticipa, progetta. I piedi restano, radicano, misurano il peso. E tra questi due estremi, i processi della vita cercano un equilibrio mobile — un punto di risonanza tra gravità e slancio - come i processi della voce.
È un’immagine potente: la materia non si muove solo perché "cade", ma perché sceglie (per così dire) di andare dove il tempo è più denso.Non è solo questione di peso o forza, ma anche di tempo che si addensa.
In basso, vicino alla Terra, il tempo rallenta — e noi, come tutto ciò che ha massa, siamo naturalmente attratti da quel rallentamento.
Cerchiamo il contatto con il pavimento per ritrovare un dialogo con la gravità.
È da lì che ci alimentiamo per far muovere le idee e le parole — quelle che modificano il mondo e che, forse, possono trasformare anche la vita in un processo migliore.
🙌 Ci vediamo in giro?
Certo! Fino a fine luglio sono in città, e tu? ☕
Questa è Cospirare, dal latino ‘respirare con’, ‘respirare insieme’.
Ci vediamo di nuovo qui (ovunque qui sia) tra un pò! 💙